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Mamma Togni

L'8 settembre 1943 mio figlio, Enzo Togni, fuggì dall'esercito e si rifugiò nelle boscaglie del Po.
Lì cominciò a radunare uomini e così formò una delle prime brigate partigiane della zona. Io collaboravo a questa sua attività. Ragazzi fuggiti dall'esercito e ricercati dai fascisti trovavano presso la nostra famiglia aiuto e protezione fino al limite del possibile. Quando i giovani si presentavano a me, io, anzitutto, avevo per loro una parola di conforto e di incoraggiamento; spiavo poi il momento propizio per invitarli nel luogo in cui si trovava mio figlio.
L'attività di Enzo e dei suoi compagni dopo un po' di tempo fu però individuata dai nemici che da quel momento svolsero nei confronti della nuova organizzazione una sistematica offensiva. La brigata decise allora di lasciare la boscaglia del Po e di salire prima sulle colline Rocca Susella e poi su quelle di Zavattarello. A Zavattarello, più tardi, dovetti salire anch'io, salii quando Enzo mi fece sapere che lassù c'erano dei feriti e degli ammalati bisognosi di assistenza. Il I settembre lasciai quindi Broni e mentre mi allontanavo dal paese avevo la netta sensazione che vi sarei potuta ritornare soltanto dopo la Liberazione.
A Zavattarello svolsi il lavoro di infermiera.
. Era un lavoro che facevo con passione per cui mi trovai subito a mio agio. Del resto le persone con cui collaboravo erano gentili e premurose, i feriti erano comprensivi. la vicinanza con mio figlio, poi, mi rendeva felice. ma quella situazione era troppo bella per poter durare a lungo. Infatti, dopo soltanto diciotto giorni accadde il fatto più doloroso della mia vita. La notizia mi fu portata da Ciro che, pallido e senza guardarmi in viso, mi trasse in disparte e cominciò a parlare. Mi disse che Enzo stava combattendo a Varzi, che era stato colpito, che aveva perso molto sangue: poi, con evidente imbarazzo, aggiunse tutta una serie di frasi incomplete ma comunque allusive di un fatto grave. Allora mi venne un dubbio tremendo.
Afferrai Ciro per le spalle e, cencando di leggergli negli occhi ciò che non aveva avuto il coraggio di dire con le labbra, gli chiesi: «È morto?»
Lui mi abbracciò piangendo. Era la conferma. Mi sciolsi da quell'abbraccio dicendo: «La lotta che noi combattiamo è lotta per un ideale che vale assai più della vita!» poco dopo entrai, come al solito, nella corsia degli ammalati. Mi fermai in mezzo alla camera e dissi loro: «Ragazzi, Enzo è morto, ora non ho più figli!».
Attorno a me si fece un silenzio greve. Uno dei presenti, dopo aver attirato su di sé lo sguardo di tutti gli altri, lo ruppe dicendo: «Noi siamo i tuoi figli! Da questo momento ti chiameremo mamma!».
«Certo - risposi - mi farà piacere! Mi servirà a lenire il dolore»
Così diventai la mamma di tutti i partigiani garibaldini. I feriti che erano appena in grado di muoversi mi furono attorno e mi abbracciarono, gli usarono i gesti per esprimere la loro commozione dal letto in cui giacevano. verso le quindici uscii dall'infermeria per vedere se arrivava qualcuno da Varzi. Giunse in motocicletta "Sem" (Luigi Pontiroli) e non ebbe bisogno di vedere le mie lacrime per capire che sapevo della fine di mio figlio. Mi prese per le spalle e mi scosse gridando:
«Piangi, piangi Giuseppina altrimenti muori!».
poco dopo giunse anche il camion che portava la salma di mio figlio, marciava lentamente forse per non disturbare il suo sonno eterno. Quando lo scaricarono me lo posero sulle braccia, ma mentre l'osservavo sopraggiunsero altri quattro feriti e allora dovetti lasciare quel corpo inerte per occuparmi dei vivi. Avrei versato poi tutte le lacrime che una mamma può versare per la morte dell'unico figlio, ma lo avrei fatto in segreto.



Pagina scritta in HTML da Attilio Bongiorni - Giugno 2009
il brano è una parte della testimonianza diretta di Mamma Togni pubblicata sul libro:
Donne nella Resistenza dell'Oltrepo di Ugo Scagni
Nella foto Mamma Togni e sullo sfondo Ugo Scagni
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