Sergio è in uno stanzone, insieme con altri 13 detenuti.
Sono le 22, quando arriva un'ordine delle SS: «Preparatevi a partire!». Sergio non sa cosa pensare, ma non immagina un
destino di morte imminente, dopo tutte le angherie subite dai fascisti.
Da quando è stato arrestato (nel gennaio 1945) ha dovuto sopportare botte con nerbo di bue sulle gambe, botte che lasciavano ferite
estese e sanguinanti ed ha dormito senza coperte sul cemento nudo in una stanza senza vetri alle finestre.
I 14 uomini vengono fatti salire su due camions che partono in direzione Parma.
Con le SS c'è un tenente italiano. I camions arrivano a Parola di Coduro, una località nei pressi di Fidenza. Sergio cerca
di immaginare cosa sta per succedere, ma non riesce a fare nessuna ipotesi plausibile.
Si avvicina un tedesco, prende due prigionieri, li allontana dal gruppo.
Si sentono quattro spari nel buio. Altri due vengono prelevati e spinti lontano. Altro quattro spari rieccheggiano. Sergio si rende
conto di quel che succede, ma qualcuno pensa ad una finta fucilazione (forse è il rifiuto della morte che spinge a credere questo).
Sono rimasti solo in tre ora, Sergio viene spinto con gli altri nella stessa direzione, quando urta col piede qualcosa a terra: è uno dei compagni già uccisi, ecco quale sarebbe stato il suo destino!
Nel frattempo il tedesco davanti a loro carica la sua arma. Sergio incredibilmente resta lucido e capisce che deve fare qualcosa, tentare
il tutto per tutto, raccoglie tutte le sue forze e sferra un calcio potentissimo «nelle palle» del militare e scappa. È
buio pesto, i tedeschi gli sparano dietro con le pallottole traccianti, lui corre come non ha mai corso nella sua vita. Ad un tratto,
un'esplosione vicino a lui lo ferisce ad una gamba; è una bomba che gli hanno tirato gli inseguitori.
Cade ma si rialza subito e corre, non sa dove sta andando Sergio, ma corre lontano fino a che arriva l'alba, attraversa i binari della
ferrovia, attraversa dei campi. Improvvisamente crolla, dalla ferita nella gamba esce molto sangue. Sergio allora si siede su un argine e
quasi sviene, ma capisce che non può fermarsi. Con uno sforzo immenso si rialza e corre ancora e via, tra i campi fino ad arrivare
ad una canale pieno d'acqua, lo attraversa, si bagna tutto ma non importa, non sente neppure il freddo e corre.
Ormai è mattino, sergio arriva vicino ad una stalla, un bergamino esce e lo guarda stupefatto: Sergio è in uno stato da
far paura, stravolto, pieno di fango e sangue.
La stalla fa parte della tenuta del principe Meli Lupi di Soragna. Il principe lo fa curare e poi lo manda da un suo parente
che abita lì vicino. Sergio è salvo.
Un altro suo compagno miracolosamente si è salverà dalla strage, è Alberto Baldini. Alberto è stato colpito solo di
striscio dalle pallottole, sviene e resta a terra esamine. Quando rinviene, in piena notte, riesce a trascinarsi in una cascina nelle
vicinanze e lì viene ospitato e curato.