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Domenico Azzari e la Signora Giacinta

La Signora Giacinta era una donna notevole, non solo per la sua bellezza e grazia, ma anche per la sua cultura notevole di donna vera.
Questa era la chiave che Domenico Azzari, uno dei primi contatti italiani degli alleati paracadutati dietro le linee nemiche, utilizzava per cifrare i messaggi da inviare agli americani mediante la ricetrasmittente. L'8 settembre del 1943 Domenico si trova al Porto di Napoli come sergente Radio Telegrafista. Di sicuro egli sa soltanto che non avrebbe mai combattuto per i tedeschi. Cerca di nascondersi e tornare a casa, ma viene catturato e portato in un campo dove erano già presenti migliaia di soldati italiani. Riesce fortunosamente a scappare e si dirige a sud alla ricerca delle truppe americane che lo accolgono e gli chiedono di collaborare aiutando i partigiani da dietro le linee nemiche. Gli americani iniziano a questo punto ad istruire Domenico ed altri esperti telegrafisti sui cifrari e sui codici per criptare e mettere in chiaro i messaggi da inviare via radio.
«Mi fu chiesto di scegliere una frase convenzionale che sarebbe stata la chiave del mio cifrario personale.
La mia frase fu: La Signora Giacinta era una donna notevole, non solo per la sua bellezza e grazia, ma anche per la sua cultura notevole di donna vera.. Non riesco a ricordare come precisamente partivo dalla chiave per iniziare la traduzione in codice. Posso solo riprodurre lo schema apparente di cifrario che così come si vede non ha valore pratico, ma serve solo a dare un'immagine visiva di come era il procedimento. Su un foglio a quadretti si iniziava a scrivere il messaggio partendo con una serie più o meno lunga di lettere casuali, avendo prima scritto sul lato sinistro del riquadro in verticale la parola chiave. Dopo aver finito il messaggio si continuava con altra serie casuale di lettere. Da questo primo riquadro in parte chiaro, si passava ad altro riquadro uguale dove il messaggio veniva trascritto incrociandolo da orizzontale e poi ancora ad un altro incrociato. Per decifrare seguiva l'operazione inversa. Nel corso del messaggio vi erano due elementi di controllo fondamentali per l'autenticità del medesimo. Il primo check (controllo) era l'ottava lettera che doveva sempre risultare uguale alla prima. Il secondo true check era la firma del messaggio che doveva essere costituita da un nome proprio iniziante per A. Questo perchè in caso di mia cattura, sapendo i tedeschi sicuramente dell'esistenza di un controllo, io potevo lasciarmi estorcere il primo e sbagliando il secondo potevo far conoscere alla base la mia nuova condizione es essere seguito ed assistito di conseguenza. Questa evenienza si verificò per un mio collega, che fu veramente assistito con messaggi speciali e finti tentativi di lanci di rifornimento fino alla liberazione.»
Fu proprio Domenico che aiutò Manfredo Bertini (Maber) e gli altri partigiani della Versilia a comunicare con gli alleati in modo che potessero ricevere i lanci visto che in quel momento il gruppo di Maber non aveva alcun radioletelgrafista esperto pur avendo in dotazione la radio portata dal sud, attraverso un viaggio pericolosissimo attraverso l'Italia da Vera Vassalle. Più tardi Maber si farà paracadutare nel Piacentino dove costituirà le missioni Balilla 1 e 2 affiancando le operazioni delle formazioni partigiane locali e dove poi purtroppo morirà alla Sanese vicino a Moiaccio di Pecorara.



Pagina scritta in HTML da Attilio Bongiorni - Dicembre 2009
bibliografia: Missioni Rosa -Balilla Resistenza e Alleati di Liborio Guccione
la foto: un particolare della radio utilizzata a Pecorara per le trasmissioni.
a centro pagina: una prima griglia simile a quelle utilizzate per la codifica dei messaggi
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