Cesare Baio nacque a Piacenza il 24 maggio del 1924.
Fin da bambino in famiglia respirò aria di antifascismo. Egli non vestì mai la divisa di «figlio della Lupa»
o di «Balilla», le note organizzazioni giovanili fasciste e fece parte dei cosiddetti «Avanguardisti» solo
perchè diversamente, non avrebbe potuto frequentare i corsi superiori di studio.
La professoressa Fulvia Libertino che lo ebbe, scolaro, al ginnasio, i Professori La Rosa e Forlini, di cui fu alunno al liceo, lo
giudicavano schivo e piuttosto taciturno, pronto ad animarsi però se venivano discussi argomenti di storia o di letteratura.
Amava gli studi letterari, scriveva anche racconti e articoli, né perse il gusto di scrivere quando si trovò
condannato ai lavori forzati, internato in un campo di concentramento germanico: ne è prova il breve diario che tenne durante i primi
tempi della sua vita di deportato e durante i giorni del suo triste viaggio verso la Germania. Poche pagine in uno stile scarno,
sintetico, intenso.
Quando iniziò la sua attività clandestina di antifascista era iscritto al primo anno di scienze biologiche.
Fu anche lui, come Broglio, un attivista che diede non poco filo da torcere ai nazifascisti, in collaborazione col padre che non
l'abbandonava mai e che gli aveva inculcata la ribellione contro i sistemi del regime.
Francesco Baio fu accanto al figlio Cesare anche nei giorni angosciodi della prigionia in Germania.
Entrambi infatti erano stati destinati ad una fonderia di Metalwerk, sita in un sobborgo di Colonia.
Il fisico di Cesare però, un ragazzo alto, magro, con dei grandi espressivi occhi azzurri, non resse alla inumana fatica, alle
percosse, alla fame e allo struggimento interiore che gli procurava l'esilio. Il giovane si ammalò di consunzione e il padre se
lo vide morire accanto ogni giorno di più; finchè una volta, il ragazzo, mentre veniva accompagnato all'infermeria del campo,
sotto scorta armata, fu sorpreso da un bombardamento e ferito alla testa.
Morì quasi all'istante insieme al militare tedesco che gli era vicino; fece appena in tempo a spirare fra le braccia di suo padre
disperato e impotente. Era l'ottobre del 1944.
Francesco Baio, in un suo scritto, posteriore alla morte del figlio dice:
«...oggi è arrivata la lettera di mia moglie e lui non l'ha potuta vedere. Non mi sembra ancora vero. Era tanto smanioso
di ricevere posta dalla sua mamma».
Poche, semplici parole in cui c'è tutto il dramma vissuto da un padre e da un figlio, alla mercé, come tanti, dei più
crudeli tra gli aguzzini che l'umanità abbia mai annoverato.
Piacenza ha dedicato una via a questo suo figlio coraggioso e sventurato.