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Paolo Bellizzi

Paolo nacque a Podenzano il 9 giugno 1906.
Antifascista da subito, entrò anche a far parte degli «Arditi del popolo«. Un giorno Paolo e l'amico Guido Fava vennero incaricati di affiggere dei manifesti. Purtroppo furono sopresi dai fascisti che dopo averli percossi li portatono al Comando della Milizia. Così prosegue il racconto tratto dal libro «La Resistenza Piacentina e la figura di Paolo Bellizzi» di Don Giovanni Bruschi:

I militi non persero tempo: nel salire lo scalone uno dei tre, prima ancora di allontanarsi ad avvertire il comando dell'impresa riuscita, colpì il Fava al Collo con la canna della pistola, provocandogli una grave ferita.
Altri picchiatori piombarono sulle due vittime con calci e pugni a non finire.
«Finito il primo atto - raccontava spesso il povero Paolo - ero ridotto a un mucchio di cenci». Da allora i due compagni furono separati. Condussero Paolo in una stanza disadorna: uno scrittoio con sopra una caraffa piena di liquido trasparente, due sedie, un nerbo di bue appeso al muro. Sul pavimento era disteso un panno da caserma. Un ufficiale iniziò subito l'interrogatorio, poi, insodisfatto delle risposte di Paolo, diede ordine di passare ad un sistema più persuasivo.
Due militi lo misero sul panno a terra e gli fecero prendere la posa del cavallo: uno prese la sua testa fra le ginocchia mentre l'altro l'afferrava per un piede e col nerbo di bue incominciava a colpirlo sulla pianta del piede.
Nelle pause programmate, l'ufficiale riprendeva l'interrogatorio. Il liquido trasparente della caraffa veniva cosparso sulla pianta dei piedi allo scopo di rendere più lancinante il dolore delle frustate sulle ferite.
Nella mattinata arrivarono parecchi ufficiali ed un generale, il quale fece mettere in atto una scena di terrore.
Durante i preparativi Paolo rimase nella stanza con un ufficiale che conosceva di vista e che, dopo la liberazione, trovò impiego al Genio Civile: era un certo Bottini. Costui si divertiva a dare bastonate sulla testa di Paolo e, quando il poveretto cercava istintivamente di ripararsi con le mani si arrabbiava e gli grivava: «Dì un pò, credi che io non possa fare quello che voglio su questa testa?»
Quando Dio volle vennero i Militi, presero Paolo e lo accompagnarono nei sotterranei. Qui il generale gli fece vedere il suo amico Guido disteso in una buca appositamente scavata, ammonendolo con queste parole: «Vedi la fine che facciamo fae ai traditori?» E non facciamo fatica a seppellirvi. Prima di ammazzarti ti facciamo fare la buca come abbiamo fatto con lui. Allora, ti decidi a parlare, a fare il nome dei tuoi compagni?»
Paolo rispose soltanto: «Fate come volete». Il Generale andò su tutte le furie, lo spinse contro il muro e in un impeto di rabbia lo prese a calci e pugni urlando come un forsennato: «Ti ammazzo, ti ammazzo». Poi se ne andò.
Guido non era morto, come invece volevano far sembrare a Paolo per intimorirlo: Paolo aveva visto che muoveva i piedi come a fargli capire di non credere alla scialba messinscena.
Riportarono Paolo nella stanza da dove era sceso e vi trovò gli stessi aguzzini che continuarono a torturarlo come prima. Con i piedi martoriati lo fecero scendere in una stanza al piano terra. in un angolo vi era un pò di paglia. Ve lo buttarono, gli legarono una mano al piede e lo lasciarono in quella pposizione alcune ore fra dolori indescrivibili.
Lo tormentava anche la sete. Ad un tratto entrarono tre militi che egli conosceva di vista e, sperando di commuoverli, chiese loro un pò d'acqua. Quelli lo schernirono e lo derisero. Poi gli dissero: «Andiamo a prendere una corda e poi ti impicchiamo a quel gancio, sporco bolscevico». Paolodiceva poi di essersi vergognato di aver chiesto loro da bere e si ripromise di morire piuttosto che umiliarsi una seconda volta con gli sgherri. Con una macchina su cui trovò anche l'amico Guido lo portarono in questura: per lui rivedere l'amico fu come rinascere. Le loro mani legate da una catena stretta a tal punto da impedire la circolazione del sangue, erano diventate nere. In questura un maresciallo, vedendoli in condizioni così pietose, andò su tutte le furie. Chiese la chiave del lucchetto e sgridò energicamente il milite che aveva agito in modo così disumano.
I due amici rimasero soli in attesa di essere associati al carcere, così poterono accordarsi sul comportamento da tenere negli eventuali prossimi interrogatori. In carcere furono chiusi in celle di isolamento. una mattina andò a trovare Paolo la sorella Luisa: la incontrò in una sala detta «degli avvocati». Era presente anche il capo dellasquadra Politica Dottor Sesia che approfittando della presenza della sorella cercò di farlo parlare. Ma Paolo fu irremobibile.
Il 1o agosto 1930 fu decretato il confino per i due compagni Paolo e Guido: cinque anni ciascuno, la condanna. Così li tolsero dall'isolamento in attesa di farli partire. Paolo fu destinato a Lampedusa.



Pagina scritta in HTML da Attilio Bongiorni - Giugno 2009
Il brano è tratto da: La Resistenza piacentina e la figura di Paolo Bellizzi di Don Giovanni Bruschi
editore Vicolo del Pavone - Piacenza
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