Una notte di dicembre del '44 a Pecorara, guardando dalla
finestra del solaio...
La nonna Peppina si mise ad urlare: «Venite via da lì! Volete farvi ammazzare?».
Era la notte di Capodanno 1944. Fanny e sua sorella Vanna, insieme con l'amica Pia
erano sul solaio e guardavano verso Busseto di Pecorara, proprio dalla finestra tonda che vedete nella foto a sinistra.
La c'era uno scenario apocalittico, boati, lampi, ma non erano per niente i fuochi d'artificio della fine dell'anno ma pallotole
traccianti e bombe.
Anche Anna Maria era alla finestra dell'osteria di Pecorara di sua mamma e suo papà, anche lei guardava verso
Busseto di Pecorara e vedeva fuochi e fiamme.
Il giorno dopo hanno saputo: il 18 dicembre a Cicogni erano stati fucilati 3 partigiani
e, quella notte a Cicogni e poi a Busseto altri giovani che venivano da
tutte la parti dell'Italia e del mondo: 1 ragazzo siciliano, un ucraino, due ragazzi di Bergamo altri di Pecorara, uno
della Valtellina; erano morti.
Quei lampi e quei boati erano tutto ciò che si poteva vedere da Pecorara della furiosa battaglia che si era scatenata tra i
nazifascisti ed una banda di partigiani. I nazifascisti sapevano che avrebbero trovato a Busseto altri giovani che dormivano
in una cascina. Probabilmente una spia fascista di luogo ha informato l'esercito.
Orlandina, che abitava a Busseto, si ricorda della fine del mondo ! Che nessuno neanche si azzardava a
guardare fuori dall'uscio di casa.
Alla fine del combattimento i nazifascisti hanno catturato i ragazzi che dormivano nella cascina vicino
all'attuale osteria di Busseto, li hanno messi al muro e fucilati.
Il giorno dopo Orlandina, aiutata da altri ha composto le salme dei giovani, li ha vestiti e
altri uomini li hanno seppelliti a Busseto.
Ogni anno Orlandina, finchè è stata in vita o finchè ha potuto, è venuta alla commemorazione
di Busseto di Pecorara con un grande mazzo di narcisi.
Ogni mese di dicembre dell'anno Gino andava a Busseto e diceva «Vado a trovare i miei amici».
I Quaderni di Cicogni
Memorie e ricerca di Ettore Losi di Cicogni
Il racconto puntuale dei fatti di quel Dicembre del 1944 Scarica la versione integrale dei Quaderni di Cicogni n.3 Prima incursione - 18/12/1944 Il 18 dicembre 1944 la colonna dei tedeschi che proveniva da Pecorara, ovviamente
appiedata perchè le nostre strade erano ancora mulattiere, a Lago Brado venne avvistata verso sera dai partigiani che corsero
a Cicogni per darne notizia. Un gruppo di partigiani si nascose in località Nosoni al limite del paese verso monte Mosso;
un secondo gruppo alla Casa Bianca (il Creus) vicino ai boschi a circa un chilometro di distanza.
I tedeschi prelevarono dall'osteria di Pozzi Santino (successivamente condotta dal nipote Achille ed ora dismessa) una decina di ostaggi.
Chi scrive ne ricorda solo alcuni: Bongiorni Vittorio, Rossi Giuseppe, Pozzi Serafino, Rossi Vincenzo, Pozzi Dante. Vennero rinchiusi nella
stalla di Pozzi Guglielmo. Poi disposero le sentinelle ai lati della stradina che conduce alla Casa Bianca.
Anastasi Alfio era ospite fisso in casa Losi e benché sconsigliato da mia mamma Marietta che gli disse: «stai qui, corre voce che vi
siano i tedeschi e hai anche il tesserino di partigiano...», «ma questo, nel caso lo mangio» - rispose Alfio - volle
trascorrere la serata, come d'abitudino presso la famiglia Pozzi alla Fontanella.
Al Cantone le donne che scendevano dalla chiesa dopo il rosario lo avvertirono della presenza dei tedeschi, ma lui proseguì per la
Via Sarino tranquillo per essere in abiti civili e senza armi. Il tempo era pessimo: nebbia fitta, freddo, fango dappertutto, buio pesto.
Ritenendo che i tedeschi si fossero allontanati, verso le ore 21 Gamba Tarcisio e Foglia Sunter lasciarono il gruppo alla Casa Bianca e,
passando vicinissimi alle silenziose sentinelle, entrarono in casa Pozzi. Qui era giunto Alfio che assieme ai due anziani coniugi, le figlie
Maria e Linda, i piccoli Vito e Sergio e la mamma Albina, stavano consumando le caldarroste nella seconda stanza a pianterreno. I tedeschi dopo aver circondato la casa intimarono la resa. Colti di sorpresa, Gamba intendeva resistere con lancio di bombe a mano, ma
Alfio, il più anziano, lo dissuase dicendo: «è inutile ragazzi, qui c'è una famiglia con vecchi e bambini».
Spalancata la porta, nella penombra dell'ingresso vennero sparate raffiche di mitra e Alfio, gravemente ferito si accasciò su un mobile.
Catturati, Gamba e Foglia vennero all'istante passati per le armi. La famiglia Pozzi quasi per miracolo rimase indenne dall'attacco. Fortuna
volle che i partigiani dei Nosoni, che disponevano di mitragliatrici, non intervennero altrimenti Cicogni sarebbe stato incendiato e gli
abitanti avrebbero subito tragiche rappresaglie come successo in atri paesi. Alla luce delle torce elettriche gli ostaggi, prelevati a turni di
due e ignari di quanto successo, furono costretti a scavare, a distanza di pochi metri, una larga fossa comune profonda circa 40 centimetri
in cui collocarono poi le salme dei caduti, una accanto all'altra semicoperte da fango e terra. Gli ostaggi vennero liberati nella notte e
significativo è il fatto che uno di essi venne apostrofato in dialetto da un militare di guardia alla stalla: «adess ti va
cà balurd» (adesso tu vai a casa balordo). È la prova dell'esistenza di informatori locali nei reparti in azione di
rastrellamento. I nazi-fascisti avevano raggiunto il loro obiettivo: catturato e ucciso tre partigiani benchè questi non avessero
opposto resistenza alcuna. Lasciarono Cicogni a tarda notte. Al mattino la gente di Cicogni fece la spola per recitare una preghiera davanti
ai tre caduti affiancati con gli occhi immobili rivolti al cielo. Seconda incursione - 31/12/1944
È pomeriggio inoltrato, gran freddo, ancora presto per la funzione religiosa di fine anno 1944.
Le donne in casa cercano di preparare qualcosa di diverso per la cena di San Silvestro. Gran parte degli uomini nell'osteria di Pozzi
Santino a chiacchierare e giocare a carte. I bambini nelle strade ancora giocano nonostante il freddo pungente. Tra la gente è più
che mai vivo il ricordo del doloroso avvenimento accaduto appena 13 giorni prima a Cicogni quando vennero uccisi i partigiani Anastasi Alfio,
Foglia Sunter e Gamba Tarcisio. Improvvisamente si vedono scendere dall'alto del paese le stesse truppe che avevano già provocato danni, lutti e paura.
Molti si accalcano dentro e fuori dall'osteria, mentre gli altri si disperdono in tutto il paese. Nel frattempo, i sei partigiani di seguito
elencati, appoggiate le armi ai muri, con piccone e badile stanno scavando nella mangiatoia di una stalla nel centro abitato (ora Vicolo
Voltone), per ricavare un nascondiglio:
Baronchelli Costante - classe 1925 abitante a Villa Dogna (Bergamo) - 19 anni di età;
D'Antonio Vincenzo - nato il 29/10/1921 a Rieti - 23 anni;
Facchini Giuseppe - nato il 21/01/1925 a Bovegno (Brescia) - 19 anni;
Maestrini Nazzareno - nato il 6/2/1925 a Ranica (Bergamo) - 19 anni;
Meregalli Michele - nato nel 1925 a Usmate (Milano) - 19 annni;
Sentinelli Giovanni - nato nel 1924 a Linate (Milano) - 20 anni.
Tutti questi ragazzi, si può dire, erano alpini appartenenti alla divisione Monte Rosa della Repubblica fascista di Salò,
stanziati a Bobbio, dalla quale avevano disertato per aderire al movimento partigiano. Vennero inquadrati nella seconda brigata della
divisione Piacenza (ex Giustizia e Libertà) al comando di Fausto Cossu.
Dall'osteria scende verso casa Mascaretti Giovanni che avverte della presenza dei tedeschi. I partigiani non credono ma comunque escono
sulla strada per vedere e uno di essi gli dice «tu vieni dall'osteria e forse hai alzato il gomito».
D'un tratto, all'angolo di Vicolo Voltone con la Via Della Chiesa, appaiono uomini in divisa; con i mitra spianati intimano di alzare
le mani. I partigiani distanti pochi metri, le armi nella stalla, non hanno scampo, non tentano neppure la fuga. Vengono catturati e in
seguito legati assieme con corde. Ricordo che il mattino dopo il mio vicino di casa Pozzi Giuseppe si lamentava perchè i tedeschi
gli avevano sottratto le sue belle corde di 20 metri che usava per legare alla slitta il fieno e il frumento (non sapeva ancora a cosa
erano servite).
Nella stalla con i partigiani si trovava anche mio cugino Aldo Caselotti classe 1924, il quale, con felice intuito, balzò nella
concimaia coperta da una lamiera, sottostante la sua abitazione a pochi passi. Durante la perquisizione dei tedeschi non venne scoperto:
difficile che ispezionassero anche una concimaia. Aldo non era partigiano ma renitente per la Repubblica fascista.
Dopo aver setacciato Cicogni la grossa formazione prende la strada per Busseto. Appena usciti dal paese, nella penombra le
avanguardie della colonna sentono una voce: «chi siete, parola d'ordine» È quella di Busconi Mario comandante di un reparto di partigiani provenienti da Aie di Busseto. I Tedeschi comprendono
subito di avere di fronte gli avversari. Arretrano di qualche decina di metri e all'istante aprono un fuoco infernale con armi
individuali e mitragliatrici. Viene ferito gravemente il partigiano Comaschi Carlo che chiede aiuto. Busconi, mentre spara con il suo
mitra, sorregge e trascina il ferito a ritroso lungo la strada fino a quando una raffica di mitragliatrice lo colpisce a morte.
I nazifascisti sostano brevemente vicino al corpo di Busconi senza accorgersi che, a pochi metri di distanza, sul ciglio della strada
sotto un cespuglio è nascosto il ferito Comaschi. Intraprendono il cammino e un dopo un chilometro in località Lago Brado
avviene un ulteriore scontro con altri partigiani, anch'essi provenienti da Aie, nel quale restano uccisi:
Dallagrassa Severino - nato il 05/10/1923 a Oneta (Bergamo) - 21 anni
Lavatelli Giorgio - nato nel 1924 a Milano - vent'anni
Su questo fatto non vi sono più altre più dettagliate notizie.
Giunti ad Aie i tedeschi circondano le case, le stalle, i fienili (erano ben informati). I partigiani sopresi nel sonno cercano la salvezza
e molti riescono a fuggire. Viene catturato il partigiano Rossi Francesco, nato l'11/1/1926 a Gragnano Trebbiense, quasi 19 anni di età .
Il partigiano Usejinov Vilajst - nato nel 1923 in Ucraina (a quel tempo U.R.S.S.) - 21 anni - con grande coraggio tentò una
impossibile resistenza sparando raffiche di mitra, fino all'esaurimento delle munizioni e poi venne pure a sua volta colpito a morte.
Cessato lo scontro, nelle prime ore dopo la mezzanotte, vennero allineati per la fucilazione davanti ad un muro della scuola:
i sei prigionieri condotti legati da Cicogni;
il partigiano Rossi Francesco catturato poco prima;
un abitante di Aie, Losi Giovanni classe 1920.
Per quest'ultimo, in particolare, si levarono grida di dolore e disperazione dei familiari e delle persone che gli aguzzini avevano portato
per assistere al drammatico evento e diffondere il terrore. Si prospettava infatti un tragido errore perchè Losi Giovanni non era
partigiano. Ad un certo punto egli venne tolto dal gruppo. Questa decisione fa pensare che tra i fascisti rastrellatori c'era qualche
elemento della zona, travestito da militare, che ben conosceva la situazione.
Ne restarono sette che vennero falciati dalle scariche di due mitragliatrici poste di fronte a breve distanza.
Nella notte del 31 dicembre 1944 - 1 gennaio 1945 nella zona Cicogni - Busseto furono spente, in modo cruento, 11 innocenti vite tra i 19
e i 24 anni di età
Nel primo mattino del giorno dopo, 1 gennaio 1945, a Cicogni si sparse voce dell'uccisione di Busconi Mario che tutti conoscevano dalle
frequenti apparizioni con i suoi compagni nell'osteria o a dormire con loro nella scuola. Era nato a Carpaneto (Piacenza) il 22/2/1920;
ragazzo simpatico, di poche parole, al contrario degli esuberanti suoi coetanei che spesso intonavano in coro canti allegri nonostante
i pericoli e gli stenti quotidiani.
Vestiva l'uniforme dei soldati americani con giubbotto stretto in vita, pantaloni che terminavano negli stivaletti di cuoio, tranne il
cappello a visiera rigida delle guardie comunali (ora polizia locale). Anche seduto vicino ad un tavolo o sul piano di una finestra
quando c'era molta ressa, non abbandonava mai il suo mitra Sten che teneva sulle ginocchia. Noi ragazzini lo guardavamo con ammirazione;
pensavamo «era il capo, doveva essere anche il più bravo nei combattimenti», quasi che la guerra fosse un gioco.
Inspirava fiducia e sicurezza. Io e il mio amico Pozzi Renato prima della messa delle ore 11 andammo a vedere. Salimmo il ripido pendio
vicino all'attuale campo sportivo e giunti all'inizio del vialetto che porta al cimitero (a quel tempo non esisteva) lo trovammo.
Ci facemmo il segno della croce come ci avevano insegnato quando si andava a recitare il rosario davanti ai morti.
Quella visione è rimasta impressa nitida nella mia mente. Non c'era nessuno, solo lui al centro della strada disteso supino
rigido sui crostoni di fango gelato, il cappello rovesciato distante un paio di metri, il giubbotto aperto, i pantaloni slacciati
senza la cintura, ai piedi i soliti calzettoni di lana grezza stracciati, senza gli stivaletti, una grande ferita sul collo.
Adesso, mi viene da fare una riflessione. In guerra, si sa, nelle battaglie i più fortunati sopravvivono; gli altri, feriti o
morti straziati dalle pallottole e dalle bombe, vengono pietosamente raccolti, talvolta anche dagli stessi nemici. Ma in questo caso,
come per la strage di Aie di Busseto, basta una sola parola per definire il crudele comportamento dei nazi-fascisti-mongoli: barbarie.
Nel ritorno in paese sulla strada trovammo una gran quantità di bossoli di svariati tipi. Nella prima curva a circa 200 metri
dalle ultime case, erano a mucchi e di diverse dimensioni, quelli piccoli dei mitra, quelli dei cosiddetti ben noti farfalloni
fucili mitragliatori per sparare a braccio o distesi a terra con il bipiede e persino altri lunghi poco meno di 15 cm di mitragliatrice
pesante da 20 mm. Avevano sparato in ogni direzione tant'è che le pallottole traccianti guizzavano sui tetti delle case e
davanti alle finestre facendo strisce luminose come fulmini prima del temporale.
Arrivammo a casa in pochi minuti con le tasche piene di bossoli.
A guerra finita, l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia pose una lapide nelle vicinanze in memoria di Busconi Mario che andò
persa durante lavori al cimitero. Per non dimenticare, come sto facendo io con questo mio scritto, la Pro loco di Cicogni ne ha collocato
una nuova, previo ripristino del muro lungo la strada sul quale è appoggiata, con lodevole opera di volontariato di Bertola Renato,
Bergami Giancarlo, Bongiorni Lino, Miotti Mauro, Pozzi Ivo, Rossi Danilo.
Il ferito Comaschi Carlo riuscì a trascinarsi in una capanna a circa 100 metri a valle dove al mattino lo trovò,
semi assiderato e sofferente per le ferite, il proprietario Buroni Antonio recatosi a prendere una gabbia di fieno per le mucche.
Venne portato in un piccolo locale annesso alla canonica dove trovò assistenza e quotidiane cure della maestra Carmela Ragaglia.
Rimase tre settimane in quel locale e poi, per paura di delazioni con conseguenti gravi rappresaglie, venne trasferito in località
Fornelli in una stalla dismessa, tuttora esistente, dove anch'io talvolta gli portavo il latte caldo al mattino e la minestra alla sera.
Ai Fornelli si recava saltuariamente una partigiana infermiera che veniva da Costalta. Ma la paura tra la gente aumentava. Venne perciò
deciso un nuovo trasferimento. Nella notte un gruppo di uomini, con una improvvisata barella, sprofondando nella neve alta, lo
portarono nel più isolato abitato di Praticchia. In seguito si apprese che era guarito e impiegato in un ministero a Roma.
Negli anni successivi, durante la stagione dei funghi, uno sconosciuto frequentava Cicogni forse per passione o pellegrinaggio. Alla
persona che lo accompagnava nei boschi, Tavelli Carlo, l'ultima volta disse: «io nel giorno di Sant'Antonio in questa chiesa ho
mangiato i ravioli sotto l'altare» (Sant'Antonio Abate ricorre il 17 gennaio ed è la festa patronale di Cicogni).
Da quella frase si intuì che lo sconosciuto fungaiolo era l'ex partigiano ferito Comaschi Carlo che la famiglia del giovane
parroco, Don Bruno Ferri a Cicogni da qualche mese, con grave rischio lo aveva nascosto nei posti ritenuti più difficili per
scoprirlo. Chissà perchè non ha mai riferito le sue generalità.
Cicogni, luglio 2021
Ettore Losi
I giovani partigiani uccisi dai fascisti a Cicogni e Busseto
ed altri giovani partigiani che sono scolpiti sulla pietra del monumento di Busseto
Busconi Mario fu Giuseppe nato il 22/02/1920 a Carpaneto
- seconda brigata della divisione Piacenza
Paochi Luigi fu Paolo nato il 30/09/1922 a Pecorara
- seconda brigata della divisione Piacenza
Degli Antoni Nino fu Giuseppe nato il 15/08/1921 a Pecorara
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Oroboni Giovanni fu Giuseppe nato il 22/06/1921 a Milano
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Brenzi Giuseppe fu Severino nato il 14/08/1908 a Pecorara
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Fiore Paolino nato in Sicilia ucciso, con altri tre compagni,
dai tedeschi-repubblichini sui monti di Pecorara
D'Antonio Vincenzo nato il 29/10/1921 a Pianigrano - Rieti
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Dellagrassa Severino nato il 05/10/1923 a Bergamo
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Facchini Giuseppe fu Antonio nato il 24/01/1925 a Bovegno - Brescia
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Santinelli Giovanni fu Giuseppe nato nel 1924 a Azzano San Paolo - Bergamo
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Meregalli Michele nato nel 1925 a Usmate - Milano
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Baronchelli Costante fu Andrea nato nel 1925 abitava in Nasolino Di Villa D'Ogna -Bergamo
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Maestrini Nazzareno fu Guglielmo nato il 06/0271925 a Ranica - Bergamo
- seconda brigata della divisione Piacenza
Lavatelli Giorgio di Bergamo
Gamba Tarcisio nato il 25/06/1925 a Mazzo di Valtellina - Sondrio
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Foglia Sunter fu Fiorentino nato il 25/10/1925 a Trivero - Vercelli
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Anastasi Alfio fu Rosario nato nel 1914 ad Acireale - Catania
- seconda brigata della Divisione Piacenza
Nota sul partigiano russo
Da informazioni assunte il nome esatto del partigiano russo è
Vilajat Abul'fat Gusejnov nato nel 1916 nella Repubblica dell'Azerbajdzan e non in Ucraina.
Queste informazioni sono state fornite dalla Direttrice dell'Associazione culturale
Russkij Mir di Torino
Nota sul partigiano Siciliano (Fiore Paolino)
Il nome esatto del partigiano è Di Fina Lupo Paolo, è presente l'atto di morte
nei registri di Stato Civile del Comune di Alta Val Tidone.
La testimonianza di Facoletti Giuseppe (Pino) di Busseto.
Questa storia é stata raccontata e scritta da Fanny Zambarbieri, Ettore Losi e Giuseppe Fracoletti.
Le generalità dei Partigiani uccisi provengono dall'archivio dell'ANPI Provinciale di Piacenza,
dal database online del Museo della Resistenza Piacentina di Sperongia di Morfasso e dalle ricerche storiche fatte da Ettore Losi,
le due fonti presentano alcune discordanze nei dati e luoghi di nascita.
La lapide a forma di stella con il simbolo della falce e martello è stata la pietra tombale del partigiano dell'U.R.S.S. Vilajst
sepolto nel cimitero di Busseto fino agli anni 70 ed ora รจ conservata nel Museo della Resistenza Piacentina.
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